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Quello di carlotta bertelli è uno sguardo non compromesso, che sa intercettare a tappeto l’unicità di persone, momenti e cose, trasformando il mezzo fotografico in uno spontaneo prolungamento di sé, un contatto aperto e ravvicinato con l’esistente. Scatto dopo scatto la sua pratica genera non a caso delle storie, emozionanti tematiche concatenazioni di volti e luoghi, semplici rituali, costumi, comportamenti che carlotta osserva in giro per il mondo, ma anche e più spesso in val d’orcia, nei dintornidi casa.

Sono sequenze di immagini dirette e poetiche, inconfondibilmente libere da artifici e tecnicismi, pose, effetti e ritocchi. Fotografie analogiche terse come specchi, che restituiscono l’incanto del nostro essere nel mondo. Il mistero inspiegabile di quanto ci distingue e ci accomuna. La scala umana di grandi città e piccoli paesi. La persona inscritta nel disegno di giardini privati e parchi pubblici, scorci architettonici e angoli di bosco, grandi vedute e piccoli dettagli. L’eleganza non codificata di soggetti anonimi, qualsiasi, amici, conoscenti, incontri occasionali.
“the bench” è una di quelle storie. Prende forma sullo sfondo di una semplice panchina, sempre la stessa calata nella quiete anonima di scorci en plein air. A ben vedere, non certo un fortuito set fotografico, ma piuttosto una scelta evocativa che ha radici profonde, legami emblematici con il moderno rappresentare. Una panchina che, da claude monet a mark rothko, da john gossage a a diane arbus, da louise lawler a jenny holzer, e dalla grande pittura alla grande fotografia, ha contestualizzato identità, costumi e mode, retaggi e messaggi nell’arco di oltre un secolo.
Carlotta bertelli ha non a caso trasformato “the bench” in un personalissimo filo conduttore, una piattaforma di umane soste e incontri, un pretesto narrativo.
E soprattutto, un omaggio non commerciale a biagini, un brand di amici artigiani pellettieri, che le immagini della sua storia ci restituiscono in tutta la loro integrità e purezza. Sulla sua panchina le borse diventano presenze, contenitori impliciti di esistenze diverse, irrinunciabili attributi del nostro nomade vagare e sostare, testimoni del nostro contemporaneo vissuto.
L’identità si configura così come un insieme inscindibile di tratti fisiognomici e posture, abiti e accessori, distinzione e mistero. Una sequenza temporale e transepocale di creature in sosta, intense e meravigliose come opere su piedistallo. Ritratte su un piccolo bench di casa in val d’orcia e calate nella cornice straniante dello skyline newyorkese.
Mariuccia per carlotta, luglio 2023